Con un “tempismo” che fa purtroppo pensare agli obiettivi politici prima che ai contenuti del provvedimento, quest’anno la Festa del lavoro viene caratterizzata dalla decisione del Governo di riunirsi per deliberare in merito al decreto di cui si parla ormai da diversi giorni incentrato in particolare su alcuni aspetti interessanti il mondo del lavoro. In attesa di poter disporre del testo definitivo siamo comunque in grado di commentare brevemente alcuni aspetti dei contenuti presentati ieri sera ai Sindacati, per quanto reso noto dai giornali. Si tratta perlopiù di aspetti specifici, che sembra possibile ricondurre a una visione generale solo considerando in particolare il cosiddetto “lavoro povero”. Ne individuo 3 in particolare:
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La riduzione del cuneo fiscale . Seppure limitata nel tempo (da luglio a novembre), nella platea dei lavoratori interessati (i redditi medio-bassi) e nelle prospettive, la scelta va nella direzione di aumentare per questa via la busta paga dei dipendenti. Si parla di incrementi fino a 55 €/mese in più per le fasce di reddito fino a 25.000 e 35.000 €/anno. Incrementi che si vanno ad aggiungere, seppure provvisoriamente fino a novembre, ai circa 40 €/mese già stanziati a inizio anno con la legge di bilancio.
Si tratta di una misura che interessa certamente i beneficiari, il cui potere d’acquisto è eroso dall’inflazione più di quanto non accada a chi ha redditi superiori, e sostenuta dai Sindacati; anche se non va dimenticato che usare la leva contributiva per aumentare il reddito da lavoro dipendente anziché la leva fiscale almeno in linea di principio non diminuisce il costo del lavoro, non incide sulla produttività e non favorisce l’occupazione. Come accade spesso in questo Paese in cui i provvedimenti legislativi sono normalmente riferiti a “gruppi e categorie” non sempre avviene che una spesa pubblica ben giustificabile per chi ne è direttamente beneficiato comporti necessariamente lo stesso giudizio se si allarga lo sguardo tenendo conto anche di “altri” gruppi o categorie. Per questa ragione sarebbe meglio che interventi specifici di questo tipo fossero sempre parte di un “disegno” complessivo sul quale poter sviluppare la riflessione e il confronto. -
Gli incentivi all’assunzione. Anche questi provvedimenti contenuti in parti diverse del decreto riguardano due gruppi di popolazione: i giovani “fino a 30 anni” e gli ex percettori di Reddito di cittadinanza in seguito definito “Assegno di inclusione”.
Per l’assunzione dei giovani fino a 30 anni è previsto uno sgravio contributivo della durata di 12 mesi fino al 60% della retribuzione mensile lorda. Il fatto che un incentivo tanto rilevante ma concentrato nel tempo sia esteso anche ai contratti di somministrazione e di apprendistato induce a temere che sia stato pensato proprio per favorirne la diffusione. Ora, mentre il contratto di apprendistato costituisce un’alternativa più che dignitosa allo stage soprattutto quando non retribuito, il contratto di somministrazione a tempo determinato pur se oneroso per le aziende costituisce in diversi casi la forma contrattuale più vicina all’antico schiavismo. E anche se molte aziende interinali basano parte del loro bilancio sulla gestione di questa forma contrattuale, personalmente ritengo che andrebbe semplicemente abolito.
Sono ormai molti anni che Governi e personaggi autorevoli scrivono della disoccupazione giovanile come di una delle piaghe del nostro mercato del lavoro; che si enunciano dati statistici e si studiano incentivi per ridurre il costo del lavoro regolare per questa fascia d’età come la panacea di ogni problema. L’esperienza di Garanzia Giovani da questo punto di vista sembra non avere insegnato nulla. Ma quando si metterà finalmente a tema che il grande problema della disoccupazione giovanile più che nella disponibilità di un qualsiasi lavoro è nella qualità della proposta di lavoro disponibile in relazione a un qualsiasi progetto di vita ?
L’incentivo previsto per l’assunzione di un percettore dell’Assegno di inclusione (ex RdC) è viceversa usufruibile da un’impresa “solo” nel caso di un contratto a tempo indeterminato o di apprendistato. Perchè questa differenza di strategia a sostegno dell’occupazione all’interno dello stesso provvedimento ? Non avrebbe più senso pensare che l’incentivo per l’occupazione di un percettore di RdC - in misura prevalente a bassa scolarizzazione e con problemi oggettivi che ne diminuiscono l’occupabilità, oltretutto un costo a carico dello Stato perchè percettore di un sussidio - debba essere ben superiore a quello da prevedersi per un giovane diplomato che forse ha solo bisogno di orientamento e di un’azienda interessata a usarne le capacità magari attraverso un po’ di ulteriore formazione? -
la propensione al precariato. Di certo leggendo il decreto non troveremo citato questo obiettivo ma mi chiedo come si possa definire diversamente un insieme di misure che sono proposte in questo decreto; non potendole commentare tutte per ragioni di spazio, oltre alla già citata somministrazione a tempo determinato per l’occupazione giovanile, mi limiterò ad elencarne alcune:
- il raddoppio della durata prevista (da 12 a 24 mesi) per i contratti a termine senza causale;
- l’incremento dei voucher (fino a 15.000 € ) per i lavori stagionali;
- l’obbligo di accettare un’offerta di lavoro della durata di “almeno un mese” per i percettori dell’Assegno di inclusione entro gli 80 km dal domicilio. Se invece il contratto dura più di 12 mesi l’obbligo è esteso all’intero territorio nazionale.
Pur avendo già imposto al lettore di quest’articolo una lunga lettura non posso fare a meno di commentare seppur brevemente quest’ultimo provvedimento contenuto nel decreto.
Molti di noi hanno avuto motivo di lavorare lontano da casa durante la vita per motivi diversi: lo studio, un incarico professionale, scelte di vita famigliari, conoscere il mondo, ecc. Ma un conto è una scelta personale, valutata per gli aspetti economici, quelli valoriali e le prospettive; altro è l’obbligatorietà per portare a casa il pane, una condizione che ci riporta indietro nel tempo, inevitabilmente precaria, talvolta crudele per chi dovesse per questo motivo compromettere legami. Realisticamente si può pensare che un percettore dell’assegno d’inclusione posto di fronte a un obbligo del genere, se appena può ed è onesto, finirà col farsi andar bene anche un lavoro in nero. Voglio quindi sperare che chi ha deciso questo provvedimento lo abbia scritto in questo modo non pensando che si applichi veramente ma solo per fare risparmiare lo Stato; perchè se invece lo avesse deciso pensando a una misura di Politiche Attive per una fascia povera della popolazione ci sarebbe veramente da preoccuparsi ! A proposito di aumento delle diseguaglianze…