Basta il salario minimo?

Il dibattito sul salario minimo, acceso da qualche anno è destinato a portare a nuovi interventi del Governo entro l’estate. Tutti sono d’accordo sugli elementi di principio salvo dividersi sulle fonti da cui attingere le risorse tra chi intende trovarle nell’Economia reale e chi preferisce la via tante volte percorsa di scaricarne i costi sulla platea dei contribuenti. Ma è sufficiente affrontare il problema del salario minimo per affrontare quello ben più generale della dignità del lavoro o più nello specifico del lavoro povero tanto spesso citati a giustificazione di questi interventi ? Basta leggere il post di Barbara su Covid e malattia per concludere facilmente che non è certo sufficiente. Vorremmo aprire la discussione su questo tema, ricco di molti argomenti.
Per avviarla riportiamo un breve articolo di Massimo Ferlini che riferisce di un’indagine Oxfam sul lavoro povero arricchita da interessanti proposte.
Ecco l’articolo

e l’indagine Oxfam cui si riferisce

E POI?
Il ragionamento che propongo affronta un tema specifico del salario minimo, cioè gli scenari possibili una volta introdotto lo stesso tramite legge. Il punto è che, fatto il salario minimo, sono figurabili differenti scenari per tutto ciò che sta sopra il minimo, e non è tutto ora quello che luccica.
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Non mi dilungo sui numeri, ampiamente rappresentati negli allegati che accompagnano il commento iniziale. Voglio però evidenziare che il reddito da lavoro non è solo funzione della paga oraria, ma deriva della paga oraria per le ore lavorate; cito senza entrarci il fenomeno del part time involontario, che ha assunto proporzioni enormi. Evidenzio inoltre che il reddito totale disponibile, cioè quello su cui si campa, è il reddito da lavoro per il periodo di lavoro; cito senza entrarci il fenomeno del precariato, del lavoro discontinuo, del finto lavoro autonomo e di tutte le forme che penalizzano i lavoratori ad esclusivo vantaggio delle imprese; forme legali ben inteso!, frutto di precise scelte politiche.
Il salario minimo affronta solo uno di questi punti, e cioè la paga oraria. È importante? Sì. Ovviamente dipende dalla cifra dove si colloca, ma il concetto a mio parere è assolutamente corretto e sono totalmente favorevole alla introduzione del salario minimo.
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Ma veniamo alla domanda: E POI?
E POI numero 1 – L’introduzione del salario minimo non può essere la scusa per non affrontare il tema del reddito complessivo frutto di contratti capestro, di sfruttamento legale, di legislazione precarizzante e punitiva.
E POI numero 2 – Già si sente dire che, fatto il salario minimo di legge, il di più si dovrà fare a livello delle singole aziende, legato ad indicatori di produttività – questo comporta, ma non lo dicono apertamente, il ridimensionamento dei contratti collettivi di categoria alla sola parte normativa.
È bene dire chiaro e subito che nel medio periodo questo porterebbe ad un’ulteriore riduzione del reddito da lavoro dipendente.
I contratti collettivi nazionali di lavoro CCNL garantiscono una paga minima, e la adeguano nel tempo – con modalità molto discutibili nella legislazione e negli accordi attuali, ma il principio è quello. Eliminare o anche solo ridimensionare il ruolo del CCNL nella definizione dei salari significa abbandonare tantissimi lavoratori, anche nelle grandi imprese, all’arbitrio assoluto dei datori di lavoro.
Ho abbondante esperienza personale di quanto sia arduo non dico cogestire (ahahah) la creazione degli obiettivi aziendali, ma anche solo conoscerli, figuriamoci controllarli; e figuriamoci mettere in campo sistemi condivisi di suddivisione dei benefici creati dal lavoro.
Per la stragrande maggioranza delle imprese il lavoro, sempre più efficiente, è semplicemente dovuto, e i benefici di ogni tipo di efficientamento – da organizzativo agli investimenti – vanno incamerati nell’utile.
Quella che viene concepita è la premialità a singoli lavoratori o piccoli gruppi, in funzione non solo del buon lavoro ma anche di altri “indicibili” parametri quali fedeltà (denuncia di colleghi inefficienti, non adesione al sindacato figuriamoci agli scioperi, straordinari non pagati, inquadramenti inferiori al lavoro svolto senza reclamare, ecc), buona salute (mai assenti, a lavoro anche con la febbre, fino al rientro anticipato “volontario” dagli infortuni), propensione al rischio (non rompere troppo le scatole sulla sicurezza che se no qui non si lavora più…), deferenza ai superiori a prescindere da tutto, flessibilità orizzontale e verticale sostanzialmente equivalente a mettersi sempre a 90°. Tutto questo già oggi, figuriamoci se il CCNL non garantisse una base salariale adeguata nel tempo.
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Quindi SI alla paga legale minima di legge, molta attenzione a che cosa la accompagna.